Chiesa di Costantinopoli
La Chiesa e la strada , accomunate dallo stesso nome di S.Maria di Costantinopoli , hanno rappresentato un punto di riferimento molto importante nella storia di Avellino, fino a non molti anni fa . La Chiesa di Costantinopoli, conosciuta sin dal ‘500 , assunse l’aspetto odierno dopo che un altro terremoto, quello del 29 novembre 1732 , la ridusse in condizioni peggiori di quelle in cui l’ha ridotta il recente terremoto del 1980. Abbellita e decorata dall’Arciconfraternita omonima, la Chiesa venne eretta a Parrocchia nel 1753. Altra istituzione strettamente legata alla Chiesa è stato il cinquecentesco "Monte dei Pegni". L’attuale strada, intitolata, all’indomani dell’eccidio di Monza, al secondo Re d ‘Italia Umberto I, era dedicata anch’essa alla Vergine di Costantinopoli , molto venerata e , perciò, ben due volte coronata dal Capitolo Vaticano (1769-1869). La vecchia strada ha conosciuto nei secoli scorsi il massimo benessere anche perché percorsa dall’intenso traffico obbligato per le Puglie. Proprio per questo motivo la zona di Via Costantinopoli si può ben considerare il polmone vitale dell’Avellino di fine secolo decimonono, quando nella zona vivevano oltre circa 1500 famiglie , come risulta dal censimento ufficiale tenuto un secolo fa. Importantissime anche le vie del rione : Via Santi Pietro e Paolo, Porta Puglia, Via Francesco Tedesco; da non sottovalutare inoltre, la zona sottoposta, Via S. Antonio Abate, San Leonardo , Fornelle, Santa Lucia, Santo Spirito, ove gente artigiana e laboriosa attendeva ad un lavoro onesto ed apprezzatissimo.
Duomo di Avellino
La costruzione fu avviata nel 1132 dal vescovo Roberto e fu portata a termine nel 1167 dal vescovo Guglielmo che l’arricchì delle reliquie di S. Modestino che ne accrebbero il prestigio. Questi, volendo adornare le colonne antiche le navate della costruenda cattedrale, organizzasse una campagna di scavo nell’area della colonia romana, in una terra già appartenente all’episcopio. E in questa occasione che ebbe luogo il casuale ritrovamento, sotto una colonna monolitica che aveva attirato l’attenzione di Guglielmo, dell’urna con i resti dei corpi dei Santi Modestino, accompagnatoda una colomba d’argento alludente alla sua carica vescovile . L’episodio del giugno 1166 si pone a conclusione di una lunga vicenda costruttiva, prestigioso sigillo della nuova cattedrale romanica e fondamento storico della consacrazione di S.Modestino a patrono di Avellino. Nel 1167, a testimonianza del proprio operato, Guglielmo fece apporre sulla facciata un’iscrizione dedicatoria, oggi riprodotta in alto a sinistra , da cui si ricava che il vescovo procurò di ampliare il portale di ingresso. L’impianto è neoclassico ed è evidenziato dalle ampie superfici piane, riquadrate in marmo giallo delle cave di Gesualdo. All’interno della cattedrale, sotto il pesante rivestimento dei pilastri e della decorazione di gusto neoclassico si evince l’ariosità e l’agilità della primitiva struttura romanica. Ancorati ad un intonaco, finito e lisciato, con un medium che il più delle volte è una proteina animale Derivata dalla carne o dal latte. È indubbio che tale pitture sono le più belle, ma anche le più Delicate. L’opera d’arte in questione non presenta salificazioni, né alterazioni cromatiche: presenta Invece molto bene, in alcune zone, la polverizzazione dei pigmenti e distacchi del tessuto pittorico è dovuta ad Un inerzia termica e ad uno spessore della muratura bassa e un gradiente di umidità della muratura variabile, perché soggetta a fenomeni di condensazione e a debole umidità capillare ascendente.
Fontana dei tre Cannoli
ll’interno del Centro Storico di Avellino, lungo la trafficata strada delle Puglie, percorso obbligato nei secoli scorsi per rifornire la capitale del Regno di ogni sorta di dettate, sorge l’artistica Fontana dei Tre Cannoli. La fontana è uno dei monumenti più significativi della storia di Avellino. Oltre ad essere conosciuta con il nome popolare è detta anche Fontana Caracciolo o Fontana di Bellerofonte. Questo nome deriva dalla statua centrale che raffigurava , nel marmo, Bellerofonte nell’atto di uccidere la Chimera. Francesco Marino I Caracciolo , nel 1669, commissionò l’architetto bergamasco Cosimo Fanzago di portare all’antico splendore la Fontana dei Tre Cannoli. Questa Fontana, prima dell’intervento della mano di Cosimo Fanzago, doveva essere uno dei tanti utili e poco nobili abbeveratoi cittadini che alimentavano gli angoli più in vista della città. La fontana raccoglieva la fresca e limpida acqua che sgorgava dalle falde del Partenio. La Fontana, posta tra due brevi rampe di cinque gradini, porta cinque nicchie, di cui tre circolari. Nelle nicchie superiori alloggiavano i busti di un patrizio e di una matrona romana. Ai lati altre due nicchie più grandi custodivano, su appositi piedistalli, due statue di marmo di buona fattura. Al centro, l’ultima nicchia , infine, custodiva la statua di Bellerofonte nell’atto di uccidere la Chimera. Il gruppo marmoreo della Fontana conserva , ancora, lo stemma civico e dei Caracciolo in marmo. Due lapidi, di epoche diverse, per ultimo, ricordano gli interventi manutentivi apportati nei secoli. Nel secondo restauro, del 1866 , operato dal Comune di Avellino, fu anche abbassato il livello stradale , e fu spostata in giù la sola vasca , alla quale fu aggiunto uno zoccolo all’antico prospetto che rimaneva in alto. Oggi la Fontana si presenta spoglia e disadorna . Le statue sono state trafugate a più riprese. Nel 1799 i francesi pensarono a far scomparire alcune di esse . Il Bellerofonte di marmo è sopravvissuto a guerre e terremoti ma non alle ultime razzie. Nei giorni immediatamente al Ferragosto del 1983 anche la statua del piccolo Bellefonte , sparì dalla nicchia che, come le altre, oggi rimane orba delle statue che conferivano prestigio e decoro al vecchio monumento.
Torre dell'orologio La sagoma svettante della Torre che sovrasta i tetti dell’abitato di Avellino si staglia in tutta la sua imponenza nel susseguirsi , per 40 metri, dei tre ordini architettonici che ripetono fantasiosi motivi barocchi. Assurta a simbolo della Città, la Torre dell’Orologio rappresenta il segno più toccante della vita comunitaria . Le sue vicende architettoniche racchiudono squarci di storia civica e umana della Città intera. Un primo accenno alla sua storia lo propone lo storico De Franchi nel 1709. La storia della Torre, frattanto, richiama l’attenzione di altri studiosi negli anni seguenti. Salvatore Pescatori, nel 1934, riprende l’argomento apportando maggiori contributi alla conoscenza della sua storia. Secondo il Pescatori "non sembra esatto che si sia utilizzato parte del Campanile o di una torre, sol perché si ha notizia dell’esistenza in quel posto di una Chiesa o di una Torre della cinta di mura, poiché l’attuale torre risulta costruita di pianta su apposito disegno... In origine la costruzione era a due piani, e quello superiore era aperto; nella seconda metà del secolo scorso fu elevato il terzo piano con l’orologio a quattro quadranti...". Ma, per la verità, il capitolo più interessante legato alle vicende della Torre dell’Orologio rimane il capitolo dedicato all’Architetto Cosimo Fanzago , artefice non secondario nell’abbellire la Città con significative opere che, ancora oggi, testimoniano lo splendore raggiunto da Avellino durante il Seicento, il secolo che segnò il trionfo del barocco e del suo più geniale esecutore quale fu, appunto, Cosimo Fanzago. Questi nacque a Clusone, nel bergamasco, nel 1591. Secondo lo studio di Luigi Guerriero ai lavori della Torre dell’Orologio pare che non sia estraneo un altro bravo architetto, anch’egli presente in Avellino a fine secolo XXVII: Giovan Battista Nauclerio. Il terremoto del 23 novembre 1980 danneggiò la Torre dell’Orologio. Nel giugno del 1984 iniziano i lavori di ristrutturazione. Finalmente, i quattro quadranti, nel 1991, ritornavano a scandire il tempo segnando un nuovo capitolo al simbolo della Città.
Palazzo Caracciolo Il prospetto principale del palazzo è scandito da balconi arricchiti da cornici e stucco di gusto neo-rinascimentale. L’ingresso del palazzo, la cui costruzione risale alla seconda metà del secolo XVIII, è collocato in via Duomo dove un grande e nobile portale sottolinea l’importanza architettonica e storica del fabbricato sito nelle immediate vicinanze dei punti più qualificati della vecchia città: il Duomo, il Palazzo della Dogana, l’Obelisco a Carlo II d’ Asburgo e la Torre dell’Orologio. L’immobile si presenta con un corpo di fabbrica a tre livelli, un piano terra e un sottotetto. Tutti i prospetti sono scanditi da balconi e stucchi e da marcapiani in stucco. Il terzo livello è costituito da un cornicione al di sopra del quale si sviluppa l’ultimo piano realizzato in epoca successiva. Il palazzo apparteneva dal 1752 alla famiglia Parecchia , come testimonia la scritta che si trova all’interno del primo basso. Nel 1836 la famiglia Barecchia subiva il pignoramento di tutti i suoi beni che furono venduti all’asta. Una parte del fabbricato fu acquistata da Domenico Antonio Balestrieri che qualche anno dopo lo acquistò per intero. Il fabbricato, più volte rimaneggiato, fu restaurato ed ampliato nel 1751 e ulteriormente trasformato nel 1809 su progetto dell’ingegnere Tango che vi costruì una nuova scalinata d’accesso agli appartamenti superiori e ne ridusse l’originario ingresso. Successivamente nel 1815 il prospetto su piazza Centrale fu privato di un ricco stemma in gesso e di stucchi che disegnavano finte finestre per rendere più simmetrica la facciata. Nel 1885 Nicola Balestrieri conferì alle facciate dell’immobile l’aspetto neo-rinascimentale che ancora oggi conservano.
Palazzo della Cultura L’inconfondibile prospetto di un antico palazzo gentilizio si staglia sullo sfondo di una stretta viuzza, via Sette Dolori, che costeggiando il Duomo apre proprio sullo spiazzo prospiciente, ove, fino al novembre del 1980, si ergeva il vecchio Ospedale. Questo palazzo, fortificato e ristrutturato con sapiente rifacimento, oggi è frequentato e ammirato da numerosi cittadini e cultori di storia patria. Al suo interno hanno trovato sede l’archivio storico comunale, la I Circoscrizione, quella dell’antico Centro Storico di Avellino, il Centro di ricerca "Guido Dorso", l’A.C.I.F. Associazione "Victor Hugo", il "Goethe Institut", L’Associazione "Italia Nostra", L’Associazione Filatelica Irpina ed il "CIDI" Centro Iniziativa Democratica Insegnanti. Il Palazzo de Conciliis o "Casa della Cultura" , come è indicato nelle carte ufficiali. Nella zona del Duomo, nel cuore antico della città, la famiglia de Conciliis vantava il possesso di più palazzi. L’isolato palazzo, di due piani, fu costruito col tufo di buona qualità che abbonda sulla collina ad opera dell’architetto Maria Luigi de Conciliis nel corso del 1700. La famiglia, proveniente da Sanseverino, giunse in Avellino alla fine del XVIII secolo, quando il capostipite Nicola decise di immigrare nel feudo avellinese dei Caracciolo. La fortuna del palazzo è legata alla breve permanenza nelle sue stanze del piccolo Victor Hugo in occasione del ricongiungimento col padre in Avellino, il colonnello Leopold Sigisbert Hugo, ivi trasferito a seguito alla nomina a Governatore militare della provincia in sostituzione del Digonet, avvenuta agli inizi del 1808. Il soggiorno, anche se breve , è ricordato dal grande romanziere francese nei suoi scritti. Del Palazzo de Conciliis, Victor Hugo serba un vivo ricordo pervaso da grande nostalgia. "C’était un palais de marbre...", dirà in proposito il poeta, quasi a rievocare un periodo di innocenza, di candore e di libertà che si accompagnano all’infanzia di ogni uomo.
Nella Frazione di Laceno è presente un lago dove vi si trova il comprensorio sciistico che si spazia da quota 1100 m a quota 1700 m. Le piste sono 10 per un totale di 16km, di cui quattro nere, quattro rosse, una azzurra e una verde. E' presente anche un campo scuola a 1400mt ed un'anello per lo sci di fondo a quota 1700mt.
A Mercogliano si trova il Santuario di Montevergine, meta di numerosi pellegrinaggi provenienti da ogni parte d'Italia, specie nel periodo estivo.
Mercogliano è un delizioso centro di soggiorno circondato da una rigogliosa natura che custodisce un patrimonio architettonico di notevole interesse. Particolarmente caratteristico è il borgo medioevale, con vicoli stretti che si aprono talvolta su ampi spazi da cui si può godere un magnifico panorama.
Di notevole interesse architettonico è anche il Palazzo Abbaziale di Loreto, sede invernale dell'Abate di Montevergine, riedificato nel 1735 su disegno del Vaccaro. Cinto dalle ali del Palazzo, vi è un ampio cortile con un curatissimo giardino e, sullo sfondo, il Partenio.
Nelle sale del Palazzo sono inoltre custoditi cinquecenteschi arazzi fiamminghi, una farmacia con una collezione di oltre trecento vasi in maiolica, una biblioteca con un importante archivio di oltre settemila pergamene, nonché documenti imperiali e vescovili. La sua biblioteca presenta un patrimonio librario di oltre 150.000 volumi.